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Le “repubbliche partigiane”

Dalla tarda primavera del 1944, le formazioni partigiane, sempre più forti ed agguerrite, si avvicinano ai fondovalle, approfittando del fatto che la Rsi, con i presidi militari tedeschi rimasti sguarniti, non riesce a controllare il territorio. Così, esse iniziano ad esercitare, in forma dichiarata o di fatto, la gestione di aree più o meno estese: nel Friuli orientale e in Carnia, nell’Appennino parmense e modenese, nell’Alto Monferrato e nelle Langhe, nelle valli dell’Ossola, del Sesia, di Champorcher, di Lanzo e del Cuneese nascono le “repubbliche partigiane” (altrimenti denominate “zone libere”), in cui si sviluppano originali forme d’autogoverno democratico.

L’esperienza delle repubbliche partigiane avvicina la Resistenza italiana a quella jugoslava, che ritiene la guerra un’esperienza non soltanto militare, ma anche civile. A frenare tale trasformazione intervengono però le esigenze militari contingenti, che assorbono infinite energie, oltre che gli equilibri politici all’interno del Clnai, che frenano ogni esperimento radicale.

In mancanza di un modello comune precostituito, ogni repubblica cura comunque in modo particolare singoli aspetti della vita civile, secondo le risorse umane di cui dispone e le specificità che deve affrontare. Ad esempio, in Carnia si dà rilievo all’aspetto della fiscalità, istituendo un’unica tassa straordinaria e progressiva sul patrimonio, in luogo delle tradizionali imposte dirette ed indirette; nell’Alto Monferrato, si gestisce l’approvvigionamento alimentare rivalutando i prezzi agricoli ed avviando nello stesso tempo un programma assistenziale, così da evitare la cessione del grano al mercato nero; nell’Ossola, si elabora una carta

programmatica della scuola, sollecitando l’adozione dei libri di testo della Svizzera italiana; nelle Langhe, si attuano regolari elezioni amministrative.

Dal canto suo, la popolazione civile, disabituata alla partecipazione politica, agisce sotto lo stimolo della sopravvivenza quotidiana, resa ancor più difficoltosa dall’isolamento coincidente con l’avvento delle “repubbliche”: l’aiuto offerto dai partigiani in occasione dei grandi lavori agricoli è ricambiato con l’adesione al sabotaggio degli “ammassi” alimentari imposti dalla Rsi per rifornire le truppe d’occupazione, mentre il rispetto delle regole d’ordine pubblico definite dalle repubbliche si coniuga con la diffidenza verso l’effettiva capacità di protezione contro le rappresaglie nazifasciste.

Particolarmente importante per la popolazione civile è il ruolo svolto dal clero, al quale per tradizione le comunità rurali riconoscono compiti d’orientamento. Sebbene il Vaticano abbia una posizione di formale neutralità riguardo al conflitto e molti parroci si ritengano liberi di collaborare con i partigiani o con i nazifascisti, in generale il clero svolge un ruolo di supplenza istituzionale, operando una mediazione tra le parti in nome del benessere della popolazione, che gli permette di rafforzare il consenso di cui già gode.