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Le prime azioni

Le bande si dedicarono inizialmente all’organizzazione delle proprie basi e alla raccolta di armi, munizioni, equipaggiamento, vettovaglie e coperte, sottraendoli alle caserme del fondovalle.

Contemporaneamente, iniziarono a stabilire contatti con gli antifascisti dei paesi e con la popolazione civile, che si trovò esposta alla rappresaglia dell’occupante tedesco; già il 17 settembre Valdellatorre fu sottoposta a un primo rastrellamento tedesco alla ricerca di giovani da inviare in Germania. Proprio questi primi rastrellamenti, con i loro strascichi di violenze, determinarono nei “ribelli” la consapevolezza che non ci si poteva limitare all’attesa, ma che occorreva contrastare attivamente la presenza nemica con sabotaggi e azioni di disturbo.

Per quanto ancora senza prospettive e linee operative precise, i vari gruppi iniziarono a manifestare la propria presenza. Le prime operazioni furono dirette a sabotare le centrali idroelettriche e le linee dell’alta tensione, nella prospettiva di far mancare alle industrie di Torino e del fondovalle l’alimentazione elettrica. Utilizzando granate contraeree, molti tralicci vennero abbattuti nella zona di Villardora e Almese e alcune strutture delle numerose centrali idroelettriche presenti nella valle furono danneggiate. Dato però che l’alimentazione elettrica di Torino proveniva solo in piccola parte dalla val di Susa, questi sabotaggi non ebbero l’effetto sperato di rallentare la produzione delle industrie, provocando invece notevoli disagi alla popolazione civile, e furono per questo interrotti.

Queste prime azioni ebbero diverse conseguenze importanti. Anzitutto misero alla prova gli uomini e le loro motivazioni: di fronte alla prospettiva dello scontro armato, chi era salito in montagna solamente per attendere giorni migliori abbandonava le bande per cercare rifugi più sicuri. In secondo luogo, contribuirono all’organizzazione interna dei gruppi, facendo emergere gli uomini che, per personalità o competenza, sarebbero stati riconosciuti come comandanti.
Infine, costrinse le singole unità a stabilire collegamenti tra loro, dato che tutte agivano in un territorio piuttosto ristretto, dal quale inoltre dovevano ricavare anche le proprie risorse. Quest’ultima esigenza portò nel mese di ottobre alla costituzione del Comando militare unificato della valle di Susa, con sede in una baita a Villardora, composto dal maggiore Egidio Liberti (comandante), dal tenente Giancarlo Ratti (vicecomandante), dall’ingegner Sergio Bellone (commissario politico) e da don Francesco Foglia (commissario politico), con il compito di coordinare l’attività delle bande e di curare i rapporti tra il movimento resistenziale e la popolazione civile