Ognuno portava in banda
anzitutto se stesso, la propria storia e le ragioni della personale
ribellione. In questo senso, la scelta partigiana conteneva anche l’esperienza
della scoperta della propria individualità, della propria forza
morale e dei propri limiti, che i venti mesi di lotta contro il freddo,
la paura e la fame avrebbero reso ancora più evidenti. Tutti,
invece, portavano l’esperienza della recente libertà vissuta;
un’esperienza che aveva in qualche modo segnato, inebriando e
facendo maturare la consapevolezza che mai più si avrebbe obbedito
ciecamente.
Questi elementi si riflettevano
nell’organizzazione delle bande, nelle quali infatti le gerarchie
tradizionali, fondate sul grado militare, sull’estrazione sociale
o sul differente livello di istruzione, non avevano alcuna importanza,
sostituite invece da una sorta di organizzazione spontanea in cui tutti
sapevano cosa si doveva fare e tutti, magari lamentandosi, la facevano.
Un esercito nuovo modello, in cui gli stessi capi dovevano conquistare
la propria legittimazione sul campo, dividendo con gli uomini il lavoro
e, anzi, dimostrando di essere capaci di fare di più e meglio.
L’esperienza dell’autogoverno,
tipica della prima fase di vita delle bande, costituì il fondamento
caratteristico dell’esercito partigiano anche dopo l’organizzazione
in formazioni strutturate. I comandanti infatti sapevano che non avrebbero
avuto obbedienza cieca e assoluta e che, anzi, avrebbero dovuto fondare
la propria autorità sulla ragionevolezza delle decisioni, discusse
insieme agli uomini. E gli stessi comandi centrali, quando nacquero,
ebbero piuttosto il compito di coordinare che quello di dirigere.
Anche in quest’esperienza
nuova, nella quale tuttavia ancora una volta a contare in modo decisivo
erano le motivazioni e le scelte personali, si manifestava la necessità
di un rinnovamento nei rapporti tra gli individui e di una radicale
ridefinizione della dimensione sociale dell’esistenza. Esigenze
che preludevano alle richieste, a quel punto consapevoli e politicamente
mature, che il movimento resistenziale presenterà alla fine della
guerra e che costituiranno il cosiddetto “vento del Nord”.
