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I primi partigiani

Ma c’erano anche coloro per i quali la montagna era la conseguenza di una scelta consapevole. Gli antifascisti, anzitutto. La bassa val di Susa aveva conosciuto, a partire dagli anni ‘70 dell’Ottocento, un rapido processo di industrializzazione che ne aveva modificato profondamente l’assetto socio-economico; il costituirsi del proletariato operaio era andato di pari passo con l’affermarsi dei sindacati e dei partiti di sinistra, che in molti Comuni ottennero la maggioranza dei voti nelle ultime elezioni prima dell’avvento della dittatura. I bombardamenti su Torino durante la guerra avevano poi spinto in valle un’eterogenea massa di sfollati, di cui facevano parte anche alcuni degli uomini politici e degli intellettuali che avevano contrastato il fascismo fin dal suo sorgere. Costretti alla clandestinità, al confino o all’esilio, gli antifascisti rientrarono in valle alla caduta del regime e ripresero la loro attività politica, partecipando poi attivamente al movimento di resistenza nella zona.

Poi, alcuni degli ufficiali dell’esercito e delle forze dell’ordine, per i quali la scelta della montagna era la reazione quasi naturale alla scoperta della realtà celata dietro i proclami altisonanti della propaganda fascista ed al senso d’abbandono vissuto l’8 settembre e, insieme, la ribellione contro la disgregazione dello Stato. Ma s’intrecciavano anche un patriottismo che aveva il suo riferimento nella monarchia piuttosto che nel nazionalismo fascista, l’indicazione contenuta nel proclama Badoglio di “reagire a eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza” che legittimava la scelta antitedesca, l’avversione stessa per i tedeschi e, dopo la fondazione della Repubblica sociale, di coloro che s’appoggiavano a loro e forse anche la consapevolezza che la guerra era ormai persa per le forze dell’Asse. Motivazioni complesse che descrivono meglio ciò che in quel momento veniva rifiutato piuttosto che quello che si stava cercando.

Il contributo di queste due tipologie di persone alla lotta partigiana era differente: i primi offrivano uno schema d’interpretazione del momento storico e un progetto di ricostruzione dello Stato su nuove basi, mentre i secondi apportavano le conoscenze tecniche indispensabili alla realizzazione di quei progetti. Questa differenza si rifletteva in qualche modo nella polemica tra attendisti e colpisti, tra coloro che volevano aspettare il momento opportuno e coloro che invece volevano attaccare immediatamente e non lasciare respiro ai tedeschi; ma fu una distinzione che sfumò in poche settimane, il contesto della guerra partigiana non lasciava spazio a sterili polemiche.