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Il riarmo e la guerra d’Etiopia

Dopo la seconda metà del 1934, il lento esaurirsi della Grande depressione trova l’Italia in ginocchio e con scarse speranze di ripresa: il mercato interno è troppo debole per ridar slancio alla produzione; le esportazioni sono ostacolate, oltre che dalla lira forte, dal protezionismo attuato dai principali Paesi industrializzati e dall’aggressiva concorrenza della rinata Germania; la stessa emigrazione oltreoceano, tradizionale valvola di sfogo, è resa impossibile dal blocco dei visti d’ingresso negli Stati Uniti.
Ad imprimere un’inversione di rotta alla congiuntura, interviene la politica estera imperialistica: nell’ottobre 1935, l’esercito italiano invade il regno d’Etiopia, con l’obiettivo di farne una colonia e dar così respiro all’economia.

Il breve conflitto, vinto grazie ai bombardamenti aerei ed all’impiego e dei gas asfissianti contro militari e civili, permette l’annessione del Paese africano ad un dominio coloniale che ha già possedimenti in Eritrea, in Somalia ed in Libia.
Tuttavia, fin dallo scoppio delle ostilità, la Società delle nazioni ha condannato l’aggressione all’Etiopia ed imposto al nostro Paese sanzioni economiche che consistono nel blocco d’alcune importazioni ed esportazioni.

Sebbene non distolgano l’Italia dall’intento imperialistico, non siano mai applicate seriamente, non vedano l’adesione degli Stati Uniti né della Germania ed escludano prodotti fondamentali come il petrolio, il carbone e l’acciaio, le sanzioni offrono al regime l’opportunità di lanciare la parola d’ordine dell’”autarchia”, vale a dire del raggiungimento del “massimo d’autonomia economica nel più breve tempo possibile”, e, dunque, di rafforzare il dirigismo economico.