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Gli scioperi del marzo 1943

Segni tangibili del cambiamento in atto sui vari fronti sono percepiti anche dalla popolazione civile, non solo perché la mancanza d’alimenti impone una riduzione della dose giornaliera di pane o l’insufficienza d’energia obbliga a forzati risparmi di gas, elettricità, legna e carbone.

Dalla fine del 1942, infatti, le incursioni aeree degli Alleati si sono intensificate, colpendo con ordigni ancor più micidiali: nella sola Torino, tra novembre e dicembre, oltre cinquecento persone sono morte sotto le bombe. Terrorizzati, molti abitanti abbandonano dunque le grandi città industriali e cercano, da “sfollati”, rifugio in campagna o in montagna.

Ancora una volta, sono gli operai a reagire contro il dramma in cui la guerra ha precipitato il Paese.

Alle 10 del 5 marzo 1943, gli operai della Fiat Mirafiori bloccano compatti la produzione, avanzando rivendicazioni che vanno dagli aumenti salariali contro il carovita all’uscita dell’Italia dal conflitto. Coordinato da non più di un centinaio di militanti comunisti, lo sciopero si estende fulmineamente a tutte le maggiori fabbriche torinesi, dalla Westinghouse alla Nebiolo, dalle Officine Savigliano alle Ferriere piemontesi.

Anche se una manifestazione convocata in Piazza Castello è impedita dal pattugliamento di autoblindo e 164 operai sono arrestati e deferiti al Tribunale speciale, lo sciopero si ripropone ogni giorno alle 10, per una durare di una o due ore.

Dal 13 marzo, poi, l’esempio del capoluogo trascina la provincia: si verificano fermate nelle fabbriche di Collegno, Rivoli, Venaria, Moncalieri, Avigliana, Pinerolo e Villar Perosa.

Gli imprenditori cercano di fermare le agitazioni, concedendo gli aumenti retributivi richiesti dagli operai, ma il regime non può soddisfare la richiesta di pace. Così, il movimento, anziché arrestarsi, si estende anche a Milano, dove il 24 scendono in sciopero i lavoratori della Pirelli, della Falck, della Ercole Marelli, della Bianchi e della Caproni.

Il fascismo reagisce alternando il bastone alla carota: da un lato, invia nelle fabbriche le forze dell’ordine, che si scontrano sanguinosamente con gli operai; dall’altro, demagogicamente, manda delegazioni di mutilati di guerra a ricordare il sacrificio di combatte agli operai. Ma ogni tentativo è inutile, poiché più forti si dimostrano le ragioni di chi quotidianamente patisce lo sfruttamento, la fame e i bombardamenti, di chi chiede la fine della guerra e del regime che l’ha voluta.