Rassicurati dall’annuncio diffuso via radio che nessun
ulteriore offensiva sarebbe stata tentata dagli Alleati durante “le
piogge e il fango”, tedeschi e fascisti concentrarono i loro sforzi
per tentare di spazzare via definitivamente la Resistenza; la val di
Susa, in particolare, doveva essere tenuta libera per permettere alle
forze presenti sul fronte alpino di ripiegare in caso di necessità.
Per questo, già nella seconda metà di dicembre, frequenti
puntate furono organizzate su entrambi i versanti della valle, contro
i centri abitati nei quali si sospettava la presenza partigiana e contro
le formazioni combattenti.
A gennaio iniziarono i rastrellamenti organizzati su vasta scala.
L’11 gennaio, cinquemila soldati, appoggiati da carri
armati e dall’artiglieria, aggredirono la zona della 17a brigata
muovendo da Almese e da Viù, trovando peraltro solamente alcuni
partigiani del distaccamento “Faleschini”, lasciati in zona
con il compito di attirare il nemico in montagna, dando l’impressione
di una presenza ben più forte, ed evitare rappresaglie ai centri
abitati.
Il comando della “Felice Cima”, avvertito dal Servizio
informazione militare, aveva infatti deciso, data l’impossibilità
di organizzare la difesa o di ritirarsi più in alto, di sciogliere
alcuni distaccamenti (Anita Garibaldi, Officina e Commissariato civile)
e di “pianurizzare” il resto della brigata nella periferia
ovest di Torino, tra Alpignano, Pianezza, San Gillio, Druento, Varisella,
Collegno e il capoluogo.
La consegna fu quella di vivere in “stato di silenzio”
e di disturbare i nazifascisti con rapide azioni alle lle
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spalle; i punti di riferimento per i collegamenti
furono la sacrestia del santuario di San Pancrazio e la cascina delle
Monache, le Scottine, la Chiapussera, le Grange dell’Oca, la cascina
Brioni e le cascine Bogialla e Diletta, dove si era rifugiato il Comando
di brigata. Nel complesso, l’operazione di svallamento riuscì
e il rastrellamento si concluse con un caduto, l’arresto di undici
partigiani e il ferimento del comandante.
Colpito alla gamba destra durante uno scontro con i nazifascisti
presso Madonna della Bassa, mentre stava scendendo a Val della Torre
per recarsi a una riunione del Comando di brigata con i comandanti
di distaccamento, Deo Tonani fu nascosto in una baita in borgata Acquarossa
e per circa un mese non poté coordinare i movimenti.
All’incursione dell’11 gennaio
ne seguirono altre, dirette al rastrellamento di zone circoscritte
o all’occupazione temporanea dei centri abitati, secondo la
solita strategia del terrore con la quale i tedeschi cercavano di
isolare il movimento partigiano dai civili. Per questo, in una riunione
dei comandanti di distaccamento (16 gennaio) fu deciso di mantenere
i distaccamenti in basso, nonostante la pianura fosse comunque fortemente
presidiata da tedeschi o fascisti, fino alla fine della campagna dei
rastrellamenti. Il 21 gennaio un nuovo rastrellamento investì
il vallone di Rubiana e le basi della 17a. Il “Faleschini”
perse altri sette uomini – tra cui il commissario Attilio Novasconi
- e sbandò completamente; oltre alle perdite umane, anche la
distruzione di buona parte dei magazzini e di diverse baite e rifugi,
le difficili condizioni di vita, l’impossibilità di ricevere
rifornimenti per la presenza nazifascista, il senso d’isolamento
determinato dalle difficoltà di collegamento con il Comando
in pianura, fiaccarono i superstiti del distaccamento, che decisero
di abbandonare la valle.
Anche i distaccamenti “pianurizzati”, insediati a Casellette,
Almese, Alpignano, Pianezza, Fiano, furono sottoposti alla pressione
nazifascista e registrarono pesanti perdite; le difficoltà
di collegamento tra i vari gruppi e il diffondersi di notizie false
quanto catastrofiche (la morte del comandante, l’ordine di scioglimento
della formazione…) contribuirono ad accrescere il clima di sfiducia
e nervosismo. Insomma, alla fine dei rastrellamenti di gennaio la
17a Brigata d‘assalto Garibaldi fu sul punto di dissolversi.
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