Per fermare la totale disgregazione della Brigata fu deciso
(7 febbraio) di dividerla in due tronconi: uno in montagna, dove avrebbero
dovuto rientrare alcuni distaccamenti; uno in pianura. La decisione
fu confermata il 13 febbraio in una riunione con tutti i comandanti
della Brigata, nella quale fu anche stabilito di risolvere alcuni
dei problemi di coordinamento tra i gruppi, costituendo due comandi,
con sedi a Mompellato e presso la cascina Bogialla di Givoletto. Il
primo distaccamento a rientrare in valle fu il “Faleschini”,
ricostituito a partire dal drappello di garibaldini rientrato ai primi
di febbraio dalla corvée in Francia per recuperare armi ed
equipaggiamento, seguito dal “Tolmino”, dal “Girotto”
e dal “Mondiglio”. All’inizio di marzo, una terza
riunione politico-miltare, cui parteciparono anche i vertici della
III Divisione Garibaldi, riaffermò l’esigenza di riportare
in montagna la Brigata, che nel frattempo si era ridotta a 176 effettivi.
Intanto però continuavano gli scontri con i nazifascisti,
sia in montagna sia in pianura. Già il 7 febbraio il “Faleschini”,
appena ricomposto, aveva dovuto affrontare un duro scontro con gli
alpini della Monte Rosa provenienti da Viù, che era costato
al distaccamento un caduto. Il 14 marzo a San Gillio furono uccisi
poi due partigiani del distaccamento “Callet”, tra cui
il comandante Tullio Robutti.
I garibaldini cercarono di reagire con azioni di disturbo,
peraltro seguite solitamente da rappresaglie contro i centri abitati.
Il 22 marzo alcuni partigiani del “Faleschini” intercettarono
e fermarono un’incursione nazifascista nel vallone di Rubiana;
il giorno successivo una squadra di tedeschi sottopose Favella a un
duro rastrellamento, ma fu intercettata e costretta a ritirarsi, abbandonando
armi e munizioni.Il 29 marzo, un rastrellamento in grande stile venne
effettuato nella zona tra Favella e Mompellato; favoriti dalla fitta
nebbia mattutina, circa ottocento tra fascisti e tedeschi riuscirono
a cogliere di sorpresa i garibaldini.
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Lo scontro più violento si svolse nei
pressi del magazzino della Brigata: Sergio Rapuzzi cadde quasi subito,
colpito al ventre da un proiettile esplosivo, Amedeo Tonani, nel tentativo
di soccorrerlo, fu colpito a sua volta, ma riuscì a sfuggire
alla cattura ed a rifugiarsi in una baita nascosto sotto alcune fascine
di legna; sarebbe morto il giorno successivo per le ferite riportate

Il rastrellamento si concluse verso le 17 e
30; tedeschi e fascisti si ritirarono incendiando le baite utilizzate
come rifugio dai partigiani. La “Felice Cima” doveva registrare
altri sei caduti e due prigionieri (poi fucilati), ma soprattutto aveva
perso comandante e vicecomandante.
Il primo di aprile Pietro Rolle divenne il nuovo Comandante della brigata
e Luciano Torre il vice. Tre giorni dopo, però, in uno scontro
con i tedeschi nei pressi di Rubiana, Rolle fu colpito a morte; nella
stessa azione caddero anche Ugo Bonaudo e Giovanni Cometto e fu gravemente
ferito Cesare Mondon, che fu poi trasportato nel “repartino”
segreto dell’ospedale di Rivoli su un carro funebre, fingendo
un funerale.
Al comando della brigata fu richiamato Mario Castagno, che riprese l’opera
di ricostruzione della formazione insieme con i sopravvissuti del drammatico
periodo di rastrellamenti.
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