L'antifascismo nella seconda metà degli anni Venti
Le forze politiche antifasciste, sciolte d’autorità e messe fuori legge, si trovano in una situazione di forte difficoltà. Le persecuzioni hanno eliminato fisicamente molti esponenti di primo piano, come il socialista Giacomo Matteotti, il comunista Antonio Gramsci e i liberali Piero Gobetti e Giovanni Amendola (Gramsci è rinchiuso in un carcere dove cesserà di vivere nel 1937, mentre Gobetti e Amendola, aggrediti dagli squadristi rispettivamente nel 1924 e nel 1925, muoiono per i postumi delle percosse). La maggior parte dei dirigenti liberali, socialisti e comunisti ha dovuto prendere la via dell’esilio, trovando rifugio a Parigi, senza poter però sviluppare un’incisiva azione di propaganda per il permanere di quelle divisioni che si erano già rivelate fatali in occasione dell’avvento del fascismo. Nel 1927, nella capitale francese viene costituita la Concentrazione antifascista, con l’obiettivo di raccogliere adesioni attorno ad un programma di ripristino della democrazia e di instaurazione della repubblica, ma da quest’organismo restano fuori i comunisti, critici nei confronti delle altre forze politiche, ritenute responsabili di quell’eccesso di prudenza e di quel legalitarismo che hanno facilitato l’affermazione della dittatura. Contemporaneamente, molti militanti di base agiscono
in Italia in una condizione di clandestinità. In quest’ambito,
il Pcd’I si trova favorito dall’aver da tempo creato
una struttura segreta, piramidale e compartimentata, in grado
di provvedere al soccorso delle vittime della repressione, di stampare
e diffondere il quotidiano L’Unità e di ricostituire la Cgdl.
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