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Alcune conclusioni

Se il fascismo è sostanzialmente caduto da solo e se la guerra è stata vinta fondamentalmente dagli Alleati, giova allora interrogarsi sull’effettivo valore di una Resistenza che, essendo opera di una ridotta minoranza della popolazione (al momento della Liberazione, su circa 44 milioni d’italiani, i partigiani combattenti non sono più di 250.000), non poteva da sola redimere il Paese.

La Resistenza ha fatto ricorso alla violenza, ciò che ai tempi nostri è comunque accompagnato da un senso d’errore. Ma occorre ricordare che la violenza non è mai buona né cattiva e che, nell’ambito di una guerra non scelta, quella dei partigiani è stata giusta nello schierarsi per la libertà e contro la sottomissione, per la democrazia e contro il totalitarismo, per la giustizia e contro la sopraffazione, per la civiltà e contro la barbarie.

E’ vero anche che i confusi giorni della Liberazione sono stati segnati da una scia di sangue, con vendette e regolamenti di conti compiuti da alcuni partigiani nei confronti degli antichi oppressori fascisti, ma è bene tener presente che il regime prima e la guerra civile poi hanno scavato solchi incolmabili tra concittadini, vicini di casa e, talvolta, anche parenti collocati in schieramenti opposti.
Abbiamo evidenziato come, in un certo senso, i partigiani siano stati dei trasgressori rispetto alla storia d’Italia: come ha già notato Vittorio Foa, essi sono stati stranieri non soltanto rispetto al proprio mondo, ma anche a se stessi, giacché hanno dovuto innanzi tutto combattere con assoluta onestà dentro se stessi, contro quel fascismo che avevano, volenti o nolenti, assorbito nell’arco di un ventennio.