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Senta
Lei, anche per il lavoro particolare che faceva, si
ricorda di qualche bombardamento, qualche particolare. . .
Sì!
Bombardamenti sì, ne abbiamo avuti due, in particolare, in
cui ci sono stati morti. Uno, per andare in Borgo Nuovo da
Via. . tutta Via
Roma, a metà Via Roma c’era un tabarin, della signora – omissis
-, si chiamava di cognome. Per avere un tabarin lei può già
capire che tipo di donna era. Si radunavano molto gli
ufficiali, perché a Rivoli con il Castello ufficiali ne ha
sempre avuti tanti. Veniva il Principe che poi è diventato
Re, veniva anche lui. E molti signori di Rivoli.
Quando
c’era qualche serata invece tranquilla, perché dando. . .
essendo così, avevano tutto il giardino che dava verso il
basso, era tutto illuminato con quei lumicini cinesi, quindi
dalla statale si vedeva sto posto elegante dove ballavano,
andavano con abiti lunghi e
era per gente che. . e certe volte dava qualche serata.
. come chiamarla
di beneficenza. E quella sera
c’era un tenente di Ala di Trento che partiva per il fronte
russo ed aveva dato il permesso a sto tenente di fare andare
gratis tutti gli amici che aveva conosciuto qui a Rivoli e tra
questi sto tenente aveva conosciuto mio papà, non so se alla
stazione o dove, insomma l’aveva conosciuto. Ed aveva
invitato anche lui. Però il bombardamento venne presto, non
erano neanche le dieci, e là le feste cominciavano sempre
verso tardi.
Papà
era ancora a casa infatti, allora sentendo le sirene papà ha
detto: “Non vi lascio sole, non mi muovo”.
E arrivò sto bombardamento che, avendo acceso uno di
quelli che davano fuoco, che hanno buttato giù, ha preso
fuoco, che c’era una grossa segheria di Gherzi. Quindi lì
le fiamme, con tanta legna così, diventarono una cosa
spaventosa ed illuminarono il Castello.
Allora
sti aerei non sapendo che cosa era e vedendo un Castello
così, non so come passarono gli ordini, arrivarono a
bombardare il Castello e lo presero in parte. Bombardando
il Castello, in linea diretta dall’altra parte, ci rimaneva
questo cabaret. Loro come rifugio sotto alla montagna avevano
fatto come una galleria e loro scappavano lì.
Di
fatti insomma era un po’ tanta la terra per arrivare fin
lì, che noi andavamo solo nelle cantine. Poi ultimamente non
più perché quando suonava l’allarme il dottor Rossano, noi
prendevamo la macchina, lui la sua e ci faceva andare che
aveva una cascina, non nella cascina, ma fuori nei prati, era
fuori di Rivoli per andare a Villarbasse, stavamo lì finché
finiva il bombardamento.
E
praticamente invece una bomba di quelle grosse ha colpito
questa zona. Facendo cadere la terra, si vede che si è smossa
ed è caduta e ne ha presi diversi sulla testa, senza fare del
male; però si vede che si sono spaventati, è diventato uno
spavento generale al buio, sono usciti pestando e non
pestando, e tra questi è stato ucciso questo tenente, che il
papà era colonnello dell’esercito ed è venuto a
prenderselo qui morto, che doveva partire all’indomani per
la Russia.
Uno
fu lì, gli altri furono alla
stazione.
A
quel palazzo d’angolo con la Piazza, dove ci sono i portici,
quel palazzo lì, lo centrarono in pieno e lì, per fortuna e
per sfortuna a chi è toccato, erano tutti in cantina, erano
scesi in cantina. Però ad un certo punto, di un lato il
palazzo crollò. Tanti li salvammo, perché allora poi
chiamarono aiuti, papà andò giù io andai con lui si
passò la notte vicino a quel casato. Rimasero prese
una signora, la signora Mens con tutti i suoi tre bambini. Non
riuscivamo in nessun modo, non avevamo grandi mezzi, quindi si
faceva come si poteva, gli uomini con pale e cercare di tirare
su il trave. Di fatti rimasero quelle quattro persone, però
la stessa famiglia! Che era andata a finire in un angolo,
forse per i bambini per farli dormire, non lo so. E fu la
parte che fu presa in pieno. Non li uccise, purtroppo, però
non riuscivamo a tirarli fuori. I bambini erano tutti con la
bocca piena di terra da tutte le parti, negli occhi, la madre
urlava di salvare i figli. Delle urla che straziavano
l’anima, tutti si affaccendavano e riuscivamo a fare ben
poco. Riuscivamo a fare ben poco, speravamo, speravamo. I
bambini ad un cero punto cominciarono ad urlare, impazzirono
tutti e tre. E poi morirono tutti e quattro e non si salvò
nessuno. Quando arrivò il marito, lavorava ad Alpignano alla
Philips, al mattino, faceva il turno di notte, andargli
incontro il parroco e dargli
quella notizia, non le dico. Ho mai visto un uomo a
distruggersi come
in quel momento, quelle creature. . . . E ne ferì uno,
perché in mezzo alla piazza, dove adesso c’è il monumento
ai caduti, e non era lì era più avanti, avevano fatto come
una cosa di terra, dove se ti trovavi lì per non prendere le
schegge entravi lì, spessore non ce n’era mica granché; li
ne fu ferito uno, ma fu guarito, quello non morì.
Invece
Ghersi addirittura si può dire perse tutta la segheria. Il
papà ancora andò per tentare di salvare i cani, che li aveva
legati a catena, tre cani, ma non riuscì più ad avvicinarsi,
ha dovuto vederli bruciare vivi, povere bestie.
Lì
sono stati i morti del nostro bombardamento. Sì Rivoli ha
avuto anche quei morti lì.
E
poi andò bene la sera che se ne andarono i tedeschi, che
avevano minato il Castello per farlo saltare. Allora io
frequentavo molto come frequentato fino ad adesso l’Istituto
“Salotto e Fiorito”; allora erano due Istituti divisi, il
Salotto, la casa parrocchiale ed il Fiorito. Io frequentavo il
Salotto.
E
quando papà lo seppe, mi disse: “ Bisognerebbe avvisare le
suore, io non posso andare Lucia, devo andare con gli altri
per vedere cosa possiamo fare”. Perché c’era un gruppo di
pazzi che voleva fermarli e loro non volevano perché dice,
“ci fate uccidere tutti così, non combinate mica niente”,
sa ci sono anche in tutte le cose le teste calde ed io dico:
“Vado io” e dice: “Ma guarda che c’è il
coprifuoco”, “ Papà rasento i muri”.
Di
fatti ce l’ho fatta e allora dato che quell’Istituto lì
era molto antico, c’era come. . . , che adesso non c’è
più, un sottopassaggio che andava nella villa dall’altra
parte, che era una villa su tutto un terrapieno. Allora
avevano le bambine orfane, tenevano in Istituto interne, ed
avevano figlie di ragazze madri tra le quali c’era in
collegio, erano due sorelle, la signora Donat Cattin; la madre era una madre vedova di guerra, aveva ste due
bambine che non poteva allevare e l’aveva messe in collegio
lì. La superiora le ha sempre tenute fino da adulte, fin che
avevano studiato. Poi, combinazione nella vita, ha incontrato
sto onorevole e si sono sposati, eccetera. E dopo lei ricordò
molto l’Istituto, l’aiutò molto e nelle parifiche delle
scuole, e insomma
si ricordò di quello che avevano fatto per lei quando era
giovane, ecco sinceramente.
E
allora avvisandoli li portò tutti sotto, cadde uno spezzone,
bruciò qualche cosa ma non ci fu un
gran danno.
Andarono
via però dato che sono riusciti a fermare ste teste calde, al
momento di andare via hanno portato via tutto quello che
c’era al castello, e c’erano delle cose bellissime, non
trovò più niente, né arredi,
se li avevano già portati via i comandanti o cosa,
niente. Si trovò una biblioteca che aveva preso poi un
avvocato, di. . . . ce
ne sono ancora adesso. . . una volta era di 36 volumi in pelle
blu. . . non mi
viene il nome. . e
ne mancavano due volumi. Questo avvocato l’aveva presa lo
stesso, gli interessava, che poi è morto da tanti anni.
Non so che ha fatto sta biblioteca, ma il resto come
arredi, come quadri, tutto portarono via.
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