Nona parte

Intervista rilasciata soltanto su audiocassetta dalla Sig.ra Baudano Lucia il 24 giugno 2003 presso la propria abitazione in Rivoli. Intervistatrice: Prof.ssa Marina Bellò. Addetto alla registrazione: Prof. Alberto Farina

 

-- continua --

  • Senta Lei, anche per il lavoro particolare che faceva, si ricorda di qualche bombardamento, qualche particolare. . .

Sì! Bombardamenti sì, ne abbiamo avuti due, in particolare, in cui ci sono stati morti. Uno, per andare in Borgo Nuovo da Via. .  tutta Via Roma, a metà Via Roma c’era un tabarin, della signora – omissis -, si chiamava di cognome. Per avere un tabarin lei può già capire che tipo di donna era. Si radunavano molto gli ufficiali, perché a Rivoli con il Castello ufficiali ne ha sempre avuti tanti. Veniva il Principe che poi è diventato Re, veniva anche lui. E molti signori di Rivoli.

Quando c’era qualche serata invece tranquilla, perché dando. . . essendo così, avevano tutto il giardino che dava verso il basso, era tutto illuminato con quei lumicini cinesi, quindi dalla statale si vedeva sto posto elegante dove ballavano, andavano con abiti lunghi e  era per gente che. . e certe volte dava qualche serata. .  come chiamarla di beneficenza. E quella sera c’era un tenente di Ala di Trento che partiva per il fronte russo ed aveva dato il permesso a sto tenente di fare andare gratis tutti gli amici che aveva conosciuto qui a Rivoli e tra questi sto tenente aveva conosciuto mio papà, non so se alla stazione o dove, insomma l’aveva conosciuto. Ed aveva invitato anche lui. Però il bombardamento venne presto, non erano neanche le dieci, e là le feste cominciavano sempre verso tardi.

Papà era ancora a casa infatti, allora sentendo le sirene papà ha detto: “Non vi lascio sole, non mi muovo”.  E arrivò sto bombardamento che, avendo acceso uno di quelli che davano fuoco, che hanno buttato giù, ha preso fuoco, che c’era una grossa segheria di Gherzi. Quindi lì le fiamme, con tanta legna così, diventarono una cosa spaventosa ed illuminarono il Castello.

Allora sti aerei non sapendo che cosa era e vedendo un Castello così, non so come passarono gli ordini, arrivarono a bombardare il Castello e lo presero in parte. Bombardando il Castello, in linea diretta dall’altra parte, ci rimaneva questo cabaret. Loro come rifugio sotto alla montagna avevano fatto come una galleria e loro scappavano lì.

Di fatti insomma era un po’ tanta la terra per arrivare fin lì, che noi andavamo solo nelle cantine. Poi ultimamente non più perché quando suonava l’allarme il dottor Rossano, noi prendevamo la macchina, lui la sua e ci faceva andare che aveva una cascina, non nella cascina, ma fuori nei prati, era fuori di Rivoli per andare a Villarbasse, stavamo lì finché finiva il bombardamento.

E praticamente invece una bomba di quelle grosse ha colpito questa zona. Facendo cadere la terra, si vede che si è smossa ed è caduta e ne ha presi diversi sulla testa, senza fare del male; però si vede che si sono spaventati, è diventato uno spavento generale al buio, sono usciti pestando e non pestando, e tra questi è stato ucciso questo tenente, che il papà era colonnello dell’esercito ed è venuto a prenderselo qui morto, che doveva partire all’indomani per la Russia.

Uno fu lì, gli altri furono alla stazione.

A quel palazzo d’angolo con la Piazza, dove ci sono i portici, quel palazzo lì, lo centrarono in pieno e lì, per fortuna e per sfortuna a chi è toccato, erano tutti in cantina, erano scesi in cantina. Però ad un certo punto, di un lato il palazzo crollò. Tanti li salvammo, perché allora poi chiamarono aiuti, papà andò giù io andai con lui si  passò la notte vicino a quel casato. Rimasero prese una signora, la signora Mens con tutti i suoi tre bambini. Non riuscivamo in nessun modo, non avevamo grandi mezzi, quindi si faceva come si poteva, gli uomini con pale e cercare di tirare su il trave. Di fatti rimasero quelle quattro persone, però la stessa famiglia! Che era andata a finire in un angolo, forse per i bambini per farli dormire, non lo so. E fu la parte che fu presa in pieno. Non li uccise, purtroppo, però non riuscivamo a tirarli fuori. I bambini erano tutti con la bocca piena di terra da tutte le parti, negli occhi, la madre urlava di salvare i figli. Delle urla che straziavano l’anima, tutti si affaccendavano e riuscivamo a fare ben poco. Riuscivamo a fare ben poco, speravamo, speravamo. I bambini ad un cero punto cominciarono ad urlare, impazzirono tutti e tre. E poi morirono tutti e quattro e non si salvò nessuno. Quando arrivò il marito, lavorava ad Alpignano alla Philips, al mattino, faceva il turno di notte, andargli incontro il parroco e dargli  quella notizia, non le dico. Ho mai visto un uomo a distruggersi  come in quel momento, quelle creature. . . . E ne ferì uno, perché in mezzo alla piazza, dove adesso c’è il monumento ai caduti, e non era lì era più avanti, avevano fatto come una cosa di terra, dove se ti trovavi lì per non prendere le schegge entravi lì, spessore non ce n’era mica granché; li ne fu ferito uno, ma fu guarito, quello non morì.

Invece Ghersi addirittura si può dire perse tutta la segheria. Il papà ancora andò per tentare di salvare i cani, che li aveva legati a catena, tre cani, ma non riuscì più ad avvicinarsi, ha dovuto vederli bruciare vivi, povere bestie.

Lì sono stati i morti del nostro bombardamento. Sì Rivoli ha avuto anche quei morti lì.

  •   Senta. . .

E poi andò bene la sera che se ne andarono i tedeschi, che avevano minato il Castello per farlo saltare. Allora io frequentavo molto come frequentato fino ad adesso l’Istituto “Salotto e Fiorito”; allora erano due Istituti divisi, il Salotto, la casa parrocchiale ed il Fiorito. Io frequentavo il Salotto.

E quando papà lo seppe, mi disse: “ Bisognerebbe avvisare le suore, io non posso andare Lucia, devo andare con gli altri per vedere cosa possiamo fare”. Perché c’era un gruppo di pazzi che voleva fermarli e loro non volevano perché dice, “ci fate uccidere tutti così, non combinate mica niente”, sa ci sono anche in tutte le cose le teste calde ed io dico: “Vado io” e dice: “Ma guarda che c’è il coprifuoco”, “ Papà rasento i muri”.

Di fatti ce l’ho fatta e allora dato che quell’Istituto lì era molto antico, c’era come. . . , che adesso non c’è più, un sottopassaggio che andava nella villa dall’altra parte, che era una villa su tutto un terrapieno. Allora avevano le bambine orfane, tenevano in Istituto interne, ed avevano figlie di ragazze madri tra le quali c’era in collegio, erano due sorelle, la signora Donat Cattin;  la madre era una madre vedova di guerra, aveva ste due bambine che non poteva allevare e l’aveva messe in collegio lì. La superiora le ha sempre tenute fino da adulte, fin che avevano studiato. Poi, combinazione nella vita, ha incontrato sto onorevole e si sono sposati, eccetera. E dopo lei ricordò molto l’Istituto, l’aiutò molto e nelle parifiche delle scuole,  e insomma si ricordò di quello che avevano fatto per lei quando era giovane, ecco sinceramente.

E allora avvisandoli li portò tutti sotto, cadde uno spezzone, bruciò qualche cosa ma non ci fu un  gran danno.

  • Quando andarono via i tedeschi Lei ricorda ?

Andarono via però dato che sono riusciti a fermare ste teste calde, al momento di andare via hanno portato via tutto quello che c’era al castello, e c’erano delle cose bellissime, non trovò più niente, né arredi,  se li avevano già portati via i comandanti o cosa, niente. Si trovò una biblioteca che aveva preso poi un avvocato, di. . . .  ce ne sono ancora adesso. . . una volta era di 36 volumi in pelle blu. . .  non mi viene il nome. .  e ne mancavano due volumi. Questo avvocato l’aveva presa lo stesso, gli interessava, che poi è morto da tanti anni.  Non so che ha fatto sta biblioteca, ma il resto come arredi, come quadri, tutto portarono via.

-- continua --

stampa il testo dell'intervista

xxxxxx