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La “fascistizzazione” dello Stato

L’affermazione politica del fascismo compie enormi passi in avanti grazie a Mussolini che, da un lato, attrezza il Pnf ai nuovi compiti di governo e, dall’altro, utilizza i propri poteri costituzionali di primo ministro per instaurare un regime antitetico al modello di Stato liberale.

Nel dicembre del 1922, mostrando apertamente di voler superare la democrazia parlamentare, Mussolini costituisce il Gran consiglio del fascismo, formato da ministri e gerarchi del partito direttamente nominati e revocabili da lui stesso, il cui compito è quello di supervisionare le decisioni del governo e del Parlamento.

Nel gennaio dell’anno successivo, a qualche giorno dalla strage di Torino, il capo dell’esecutivo legalizza lo squadrismo come forza armata al servizio dello Stato, ribattezzandolo col nome di Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (Mvsn).

A novembre dello stesso 1923, fa votare la legge Acerbo, che modifica il sistema elettorale eliminando il criterio proporzionale e premiando con i due terzi dei seggi quella lista che consegua la maggioranza relativa raccogliendo più del 25 per cento dei voti.

In particolare contro la legge Acerbo, tesa a legittimare la formazione di un regime monopartititico, si leva la protesta di una parte dei popolari, guidata da don Luigi Sturzo.

I ministri cattolici escono dall’esecutivo, ma la maggioranza dei parlamentari popolari continua a sostenere il governo con l’appoggio esterno: è segno che il papa Pio XI si dispone a sostenere Mussolini, dal quale non a caso ottiene in cambio un trattamento di favore della Chiesa nella riforma della scuola ideata da Giovanni Gentile. Una posizione, quella favorevole ai fascisti, non condivisa però da don Sturzo, che lascerà il Partito popolare.