Le fabbriche

 
 

 
  Testimonianza del sig. Mastri

Questo monumento è dedicato agli operai che lavoravano qui nella fabbrica FILP.

E’ stato messo per volontà dell’ANPI ed è un messaggio per la popolazione che passa di

qua e non sa niente della Resistenza, soprattutto le nuove generazioni. 

E’ stato eretto questo monumento agli operai perché la fabbrica ha

contribuito fortemente all’organizzazione in montagna, perché i partigiani i cui nomi

sono scritti qui non sarebbero vissuti in montagna se non avessero avuto l’appoggio

della popolazione montana, ma anche la solidarietà delle fabbriche che li aiutavano,

li sostenevano, raccogliendo tra gli operai soldi e viveri.

In montagna spesso non c’erano né soldi né da mangiare, per cui i partigiani

raccoglievano le castagne, la frutta, mangiavano anche l’erba.

C’era anche una rete di omertà perché guai se uno parlava, ci sarebbe stata una catena

di morti. Molto spesso neanche in famiglia si diceva quello che si faceva, neanche il nome

di chi combatteva; si sapeva solo il nome di battaglia: Lupo, Giuanin.

Qui alla FILP c’era un’organizzazione comunista e il partito comunista era uno dei pochi partiti con un minimo

di organizzazione clandestina. Gli operai sapevano che se li prendevano la fine migliore che potevano fare era quella

di andare a finire nei campi di sterminio, la peggiore di essere uccisi subito.

Quando i partigiani venivano presi con le armi in mano, venivano fucilati subito, oppure si salvavano

se nell’organizzazione militare fascista o tedesca servivano dei prigionieri per fare degli scambi.

 

Nel marzo del 1943 erano stati indetti degli scioperi dal CLN, l’organizzazione che raggruppava tutte le

forze clandestine. Questi scioperi erano contro la guerra, perché non c’era il pane, era razionato, un etto al

giorno, fatto con segatura mista a farina. Era nero, immangiabile, però la fame era tale che si mangiava anche quello.

Ci sono stati scioperi a livello provinciale e anche in altre città. Immaginate cosa vuol dire incrociare le braccia a

una determinata ora con i fascisti e i tedeschi in fabbrica che ti puntavano le armi contro.

Nessuno più lavorava e questo significava essere arrestati e portati a Torino o qui nelle caserme per

essere interrogati, per dire chi era alla testa di questo sciopero, chi lo organizzava, perché queste persone

fossero arrestate.

Si perdeva anche la paga, ma ormai c’era una tale ostilità nei confronti della guerra che durava da anni e che

aveva lasciato in ogni famiglia un segno indelebile che lo sciopero è stato forte. Gli operai hanno bloccato tutto.

 

 

Testimonianza del sig. Filippini

Nel 1939 ero venuto a lavorare qui alla FAST, avevo 14 anni. Allora in fabbrica non ti prendevano fino a

quattordici anni. Poi è scoppiata la guerra. Quel giorno ci hanno fatti uscire tutti noi operai dalla fabbrica e ci

hanno fatto andare nel campo di calcio che c’è lì. Mussolini aveva dato l’annuncio della dichiarazione di guerra

alla Francia, una guerra che è stata poi assurda. Noi ci siamo trovati con i partigiani francesi, i maquis, che non è

che fossero tanto contenti  perché  loro erano già in ginocchio e noi gli abbiamo dichiarato guerra, però tra

partigiani abbiamo fatto amicizia. 

Qui c’era una grande fabbrica. In tempo di guerra vi lavoravano 700-800 operai; facevano anche parti di aeroplani,

i caccia, facevano carrelli per atterrare, pezzi per le macchine. C’era anche la Nebiolo che faceva

macchine tipografiche.

Alla Liberazione, il 25 o 26 aprile del ’45, una colonna di tedeschi, e con questa anche soldati della brigata

Monterosa che faceva parte della Repubblica di Salò e quindi un esercito regolare, non le brigate nere, è passata di qua mentre se ne andava.

Qualche ragazzo, che lavorava in fabbrica, festeggiava. Non hanno sparato loro  addosso, io lo so perché ero lì.

Quando ho sentito sparare sono corso di là , perché ero nei partigiani, a vedere che cosa stava succedendo.

Questi ragazzi avevano coraggio, andavano vicino e chiedevano la pistola, il fucile. Però qualcuno ha sparato.

Non l’avesse mai fatto! I tedeschi hanno ucciso  un operaio della FAST, il nome adesso non mi viene più in mente,

hanno incominciato a sparare contro i muri e hanno beccato uno e lo hanno ammazzato. Poi hanno capito che era

stata una cosa involontaria e non hanno più sparato.

Questa colonna poi si è diretta verso Grugliasco e lì c’è stato il massacro. Anche là tutti i ragazzi

stavano festeggiando, erano già due giorni che non si sparava più. Quando è arrivata questa colonna, qualche cretino,

io dico cretino perché ha messo a repentaglio la vita di decine di persone, ha sparato dei colpi, ma non ha

ferito nessuno. I tedeschi hanno iniziato a rastrellare, hanno portato in mezzo ad un campo sessantaquattro persone

e le hanno massacrate. Qualcuno cercava di scappare dentro il granturco, ma i mitragliatori li hanno fulminati tutti.

 

 

Testimonianza del sig. Balboni

Questa era una succursale dell’Aeronautica di Torino e si fabbricavano pezzi per gli aeroplani.

Finita la guerra, è diventata una fabbrica di macchine tipografiche, ma in quel periodo era una fabbrica bellica.

Dopo la guerra è diventata FAST Nebiolo e faceva pezzi meccanici per i telai dell’industria tessile, con

operai altamente specializzati.

 

 

Testimonianza del sig. Marino

Qui nel dopoguerra si sono ricostituiti i partiti politici e i sindacati. Siccome l’Italia era stata messa in ginocchio

dalla guerra e i diritti dei lavoratori erano scomparsi con il regime fascista, gli operai, i partigiani, quelli rimasti

in vita, si sono organizzati per far valere i diritti dei lavoratori e così sono cominciate le lotte.

Qui ci sono state grandi lotte con l’occupazione delle fabbriche. Gli uomini rimanevano notte e giorno nelle fabbriche

e le donne portavano loro da mangiare.

Soprattutto il nord Italia è cresciuto grazie alle grandi lotte fatte sia dai partiti politici democratici sia

dai sindacati.

Quando sono arrivato nel 1963 Rivoli era un paese di 20 mila abitanti e ho visto crescere la città.

Ci sono state delle amministrazioni piuttosto serie, che hanno tenuto conto del territorio, dell’urbanizzazione.

Se oggi è così, lo dobbiamo anche ai partigiani che, dopo la fine della guerra, dopo aver deposto le armi, si

sono rimboccati le maniche e con le armi della democrazia hanno cominciato  le lotte per il progresso del nostro paese.

 

 

 

Testimonianza del sig. Filippini   

Fino al 1953 è andata bene, poi è cambiata la politica, non volevano più saperne dei comunisti.

Qua c’era un sindacato forte, si lavorava, si rendeva. Queste macchine venivano mandate in Jugoslavia, in India,

perché erano macchine già avanti per quei tempi, c’erano dei buoni tecnici e ingegneri.

Qui dentro lavoravano duecentocinquanta partigiani, ragazzi che avevano fatto le scuole medie già a quei tempi,

ed erano mal visti. Così hanno cominciato a non  darci lavoro; prima si facevano duecento macchine al mese,

dopo soltanto cento, poi cinquanta, e la fabbrica è andata in crisi, l’hanno chiusa e non c’è stato più lavoro.

Quelli che erano partigiani, socialisti, comunisti e via dicendo sono stati licenziati. Quelli che erano

democristiani erano rispettati e sono stati mandati a lavorare alla Nebiolo a Torino. Ne hanno licenziati  più

di duecento, mica uno! Anch’io sono stato licenziato.

Poi non trovavo lavoro. Uno che conoscevo aveva una fonderia e mi ha chiamato a lavorare. Si facevano i

laminatoi. C’erano dei cilindri enormi che pesavano tonnellate, la gru li alzava e noi cambiavamo i cuscinetti a sfera,

le bronzine. Lo facevo volentieri.  

Ho lavorato quindici giorni, e poi il mio lavoro lì è finito perché quando sono andato a portare il libretto il capo mi

ha detto che avevano ordini tassativi di non prendere ex partigiani.     

Ho trovato un altro lavoro a Grugliasco, da un piccolo impresario, e mi sono messo a portare i mattoni.

Ho fatto il manovale per quasi otto mesi.

Poi un mio amico, Coppo, che aveva uno stabilimento per macchine da maglieria mi ha chiamato a lavorare da lui. 

Il direttore, Facenda si chiamava, mi ha detto di portare il libretto e quando mi ha chiesto se ero stato partigiano io

ho detto di no, ho detto che ero stato militare negli alpini come lui, io soldato semplice mitragliere e lui tenente.

Mi hanno preso e ho lavorato lì ventisei anni.

 

 

Alcune fabbriche censite dal Comune di Rivoli alla fine del 1940:

·        FAST Nebiolo, in Corso Susa

·        FILP, ( fabbrica lime) a Cascine Vica

·        Graffi, in Via Piave 14 (fabbrica di dolciumi)

·        Conceria Fraschini, vicino alla chiesa S. Paolo

·        Saponificio Fratelli Filippi, di fronte all’attuale sede della polizia in Largo Pistoia

·        Fabbrica Nazionale Pizzi, a Cascine Vica

·        Cotonificio Valle di Susa, in Corso Re Umberto 8

·        Segheria Durbiano, a Cascine Vica

LA LAPIDE

 

CITTA’ DI RIVOLI

E

ANPI

 

CADUTI DELLA RESISTENZA

1943-1945

STABILIMENTI F.I.L.P. E PIZZI

 

“PER NON DIMENTICARE”

 

BASSANO GIUSEPPE                 MACARIO DANTE

BELLETTATI ALVARO               MACARIO VINCENZO

BELLETTATI DECIMO               MASSAIA LUIGI

BERTON LUCIANO                    NEIROTTI ALDO

BERTONI SPARTACO                NEIROTTI GIOVANNI

BOGGE MARIO                          NEIROTTI MARIO

BONAUDO UGO                         NEIROTTI MICHELE

BOTTONI OSCAR                      PARACCA ANTONIO

BRUNO NATALE                        PEROTTI MICHELE

COMORETTO ERNESTO            RICHARD ORIENTE

CELVINO NELLO                        ROSSI FRANCESCO

DOPPI SEVERINO                      SIMIOLI EGESIPPO

GENINETTI STEFANO              VALENTINO PIERO

GOFFI BRUNO                           VIGHETTO WALTER

GRANDI ENRICO

                                                      RIVOLI 1943-1993

 

 

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