La ricostruzione della “Felice Cima”
Il durissimo rastrellamento
del 2 luglio segnò profondamente la 17a brigata “Felice Cima”.
I distaccamenti erano dispersi e i collegamenti saltati, basi e magazzini
saccheggiati e incendiati; in tutti rimaneva poi l’impressione dell’assalto,
l’angoscia, la paura e la rabbia impotente. Alcuni reagirono abbandonando
la zona ed aggregandosi ad altre formazioni oppure espatriando in Francia;
altri cercarono rifugio in pianura, tornando a casa per nascondersi. Anche
i gruppi che rimasero in zona decisero comunque di sganciarsi provvisoriamente
e mettersi al riparo più in alto: quelli di Mario Castagno e di
Deo Tonani, per esempio, si ritirarono al “non si trova” e
al “non si vede”, due anfratti naturali sul Rognoso. |
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A volte,
poi, il bestiame appena requisito, e quindi ancora in carne, veniva scambiato
con quello vecchio e sfruttato dei contadini, che s’impegnavano
a compensare la differenza con frutta e verdura. Un intreccio di rapporti
particolare, che permise ai partigiani combattenti di non perdere di vista
l’obiettivo reale della loro lotta e ai civili di assorbire i valori
della Resistenza e di assumere una prospettiva più evidentemente
politica. Intanto, in vista di una ripresa dell’attività offensiva, i vari distaccamenti furono dislocati nei punti chiave della valle, da Rubiana fino al colle del Lys e a Col san Giovanni; il gruppo di Castagno rimase a Mompellato, dove aveva sede anche il Comando di brigata, mentre quello di Tonani, costituito in prevalenza di cremonesi e che si era battezzato “Faleschini”, dal nome del più giovane dei caduti del 2 luglio, si spostò a Madonna della Bassa. |