Il fascismo e gli operai
Il graduale affievolirsi degli
effetti della Grande depressione sostiene il consenso al regime e spiega
il successo nel secondo plebiscito del 1934, dopo il quale il
Pnf perfeziona le strutture di controllo di massa, affiancando
i “capistrada” e i “capicaseggiato” ai fiduciari
di zona e dei circoli rionali.
La popolazione italiana riserva ad ogni scelta del fascismo un appoggio entusiastico, al quale sono estranei solo gli operai Evidentemente, questi ultimi non dimenticano come il regime abbia distrutto ogni speranza di giustizia sociale e dissolto le reti spontanee della vita associata e della solidarietà con l’inquadramento degli individui nelle strutture di massa, la propaganda e la delazione. E nemmeno si nascondono quanto la loro esistenza sia penalizzata dall’insicurezza del lavoro, dallo sfruttamento e dal crescente divario tra i prezzi al consumo ed i salari (nei primi anni Quaranta, i prezzi al consumo crescono ad un tasso annuo tra il 13 e il 15 per cento annuo, mentre i salari calano ad un tasso annuo tra il 3,5 ed il 5 per cento). Fin dal tempo della Grande depressione, l’insoddisfazione nelle fabbriche è lievitata, mentre sono ricomparsi i volantini comunisti e le scritte contro il regime. A Torino, il suicidio di un operaio della Fiat Lingotto ha scatenato nel 1929 agitazioni che sono sfociate in 800 licenziamenti, mentre una sospensione collettiva dal lavoro, susseguente una riduzione della produzione, ha provocato disordini contro i quali è dovuta addirittura intervenire la Mvsn. |
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