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L’eccidio
compiuto dai nazifascisti si inquadra in una
vasta offensiva scatenata contro le
formazioni partigiane della Valle di Susa.
Nei mesi precedenti c’erano
già stati numerosi rastrellamenti per
liquidare il movimento resistenziale, ma
nell’estate 1944 il problema era diventato
più urgente. La zona, controllata dalla 17’^
Brigata Garibaldi, era la più prossima a
Torino: da lì partivano in continuazione
squadre partigiane che compivano azioni
nella bassa valle e nell’area di Rivoli –
Alpignano- Grugliasco.
Attacchi ai singoli presidi,
sabotaggi alla linea ferroviaria,
requisizioni nei depositi e magazzini
militari costituivano una sfida pressoché
quotidiana ai nazifascisti. La possibilità
di collegamento con la valle di Viù
attraverso il colle rendeva ulteriormente
importante la posizione.
Il rastrellamento scattava
nella notte tra l’1 e il 2 luglio, condotto
insieme da reparti tedeschi e fascisti che
salivano a scacchiera dalle valli di Susa e
di Viù; in termine militare, la manovra si
definisce “accerchiante”, perché tendeva ad
accerchiare la banda partigiana bloccando
ogni via di fuga.
Alle prime luci dell’alba, i nazifascisti
erano già in prossimità del colle. Un gruppo
di partigiani tentava allora una difesa ad
oltranza, per tenere impegnate le forze
nemiche e permettere la ritirata dei
compagni: disponendosi a ferro di cavallo
per evitare di essere circondato, il gruppo
manteneva per qualche tempo la posizione, ma
la scarsità delle munizioni e
l’inadeguatezza dei mezzi (in mancanza del
piedistallo, la mitragliatrice da 7 mm di
cui erano dotati i partigiani, veniva
appoggiata ad un alberello a “V”),
costringevano presto alla ritirata.
Alcuni combattenti salivano verso il Rognoso
e il Civrari, altri verso il colle San
Giovanni. Durante questa fase dei
combattimenti avveniva l’episodio più
drammatico: 26
giovanissimi partigiani di cui molti di
Cremona, giunti in zona solo due
giorni prima, anziché tentare la ritirata
verso l’alto, scendevano verso valle.
L’errore
nasceva dalla scarsa conoscenza dei luoghi,
dall’inesperienza, forse dalla
sottovalutazione della consistenza numerica
delle forze attaccanti: in ogni caso, si
trattava di un errore fatale. Mentre gli
altri partigiani della 17^ riuscivano a
disperdersi e sfuggire alla cattura, i
giovani partigiani scesi verso la valle,
venivano catturati, poi torturati perché
rivelassero ciò che sapevano del movimento
partigiano, quindi trucidati. L’eccidio del
Colle del Lys era compiuto.
Due
giorni dopo, quando i nazifascisti erano
ormai ridiscesi a valle, i partigiani
potevano tornare sul colle per ricomporre le
salme dei caduti e seppellirle.
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