Le Leggi razziali

 
 

BELLETTATI Augustina

Non sapevamo nulla della persecuzione degli ebrei durante il Fascismo. Andavamo a lavorare, partivamo al mattino e tornavamo alla sera. Mia mamma ci diceva di fare attenzione, di non fermarsi per strada e di non parlare con nessuno. Allora non sapevamo certe cose. 

 
 

 
 

BUROCCHI Lorenzo

Agli ebrei a Rivoli, almeno quelli che io conoscevo, non hanno fatto niente. C’erano Jona, Segre, Cocco e altri di cui non ricordo il nome.

Jona è rimasto sempre a casa sua per tutta la guerra. Sapendo che c’era l’affare degli ebrei, nella cucina avevamo fatto una porta che dava sulle ariane, due muri uno vicino all’altro per dare aria, e che era collegata alla Chiesa di San Martino. Davanti alla porta abbiamo fatto l’armadio e quindi in casi di necessità si poteva scappare lì dentro e richiudere l’ingresso con l’armadio.

C’erano diversi ebrei qui a Rivoli e non si è saputo che abbiano avuto dei disagi o problemi.

 
 

 
 

CAVAGLION Miranda

Sono vissuta con i miei compagni di scuola fino alle Leggi razziali. Mi volevano tutti bene, poi qualcuno non mi guardava più. È stata una delle più grandi sofferenze che ho avuto. Mi ricordo che alcune mie compagne di scuola, quando mi vedevano, cambiavano strada per non dovermi salutare. Qualcuno è rimasto mio amico, ma non le mie compagne di scuola, credo avessero paura, quindi mi sentivo molto sola. La mia famiglia aveva un negozio di tessuti e dopo le Leggi razziali ho lavorato nel negozio e ho continuato a studiare un po’ le lingue.

Frequentavo la seconda ginnasio, che corrisponde alla seconda media attuale, e così, all’improvviso, non ho più potuto studiare.

I miei genitori piangevano. Mio padre era già molto anziano perché, quando sono nata io, aveva cinquantuno anni e mia mamma ne aveva quarantatre. Mia mamma, in modo particolare, guardava i cani per strada e diceva: “Loro sono liberi, noi no!”. Sono stata un po’ isolata, diciamo.

Nel settembre del ’43 siamo stati deportati a Borgo San Dalmazzo, dove i tedeschi avevano fatto un campo di passaggio, e da qui poi hanno deportato tutti gli ebrei, anche stranieri, ai campi di raccolta in Germania.

Sono arrivati i tedeschi a Cuneo e hanno subito pensato di prendere gli ebrei della città e dei dintorni. Il maggior numero di deportati c’è stato tra gli ebrei di Saluzzo, e alcuni sono poi tornati.

Da Borgo San Dalmazzo io sono tornata a casa. Noi di Cuneo siamo stati salvati e siamo tornati a casa. Non so perché non siamo stati mandati in un campo di concentramento, probabilmente ci hanno aiutato dei fascisti di Cuneo. Noi non l’abbiamo mai saputo.

Poi quando sono venute delle nuove leggi contro gli ebrei noi non potevamo più rimanere a casa e così dopo un mese io e i miei fratelli siamo partiti in montagna, mentre i miei genitori che erano anziani sono andati ad abitare a casa della balia di mio fratello, in un paesino vicino Cuneo. Poco per volta, ci siamo abituati a stare lontani da casa. Abitavamo in cinque in un’unica stanza, dove avevamo dei letti provvisori fatti con dei cavalletti e della paglia dentro a delle fodere. Così siamo vissuti fino alla fine della guerra.

Siamo stati aiutati molto dalla gente; i contadini specialmente erano veramente stupendi, generosi. Dopo la guerra abbiamo sofferto per altre ragioni, ma almeno il Fascismo era finito.

Non abbiamo subito angherie come in Germania. C’erano pochi tedeschi a Cuneo, hanno fatto il minimo, insomma. Le mie cugine andavano a lavare i pavimenti nelle caserme, dove c’erano i tedeschi, ma io che ero minorenne non sono stata chiamata, e i ragazzi venivano bastonati, tornavano sanguinanti.

Mentre ero a Borgo San Dalmazzo non ci sono state deportazioni. Hanno dovuto liberare il campo per via di alcune malattie infettive che si stavano diffondendo. Io ho avuto la scabbia e mi hanno mandato all’ospedale di Cuneo dove sono stata curata dal dottor Marchisio, il nostro medico di famiglia.

 
 

 
 

PARACCA Gina

Non sapevamo nulla delle leggi razziali, non se ne parlava, per lo meno a casa nostra. Si sapeva di ebrei che si nascondevano perché avevano paura dei fascisti.

 
 

 
 

SIMIOLI Abe

Nella casa di Tavolata dove abitavamo c’era una famiglia di ebrei che durante la guerra sono stati nascosti.

Il figlio Cocco era giovane, del ’28, e dopo la guerra si giocava insieme. Era un bravo ragazzo.

Nel momento in cui ci sono state le leggi si sono nascosti e non li hanno presi. Molti ebrei sono stati nascosti a Villar Perosa, in una baita, il Pomaretto.

Lì c’erano diversi ebrei e i contadini li aiutavano; se c’era qualche movimento li avvisavano e loro andavano dall’altra parte della valle.

 
   
 

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