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La guerra nelle grandi città industriali

 

Di là dei facili entusiasmi suscitati dalla rapidissima campagna condotta dagli alpini sulle montagne piemontesi, la cui inefficacia militare è posta in secondo piano dalla resa della Francia ai tedeschi, gli abitanti delle grandi città industriali iniziano in fretta a confrontarsi con le durezze del vivere in guerra.

Due soli giorni dopo l’invasione della Francia, su Torino si abbatte il primo bombardamento alleato, che causa diciassette morti e circa quaranta feriti.

Le norme sull’oscuramento, attive dalle ventidue e trenta alle quattro e trenta, rendono difficili gli spostamenti di chi lavora; il razionamento colpisce generi di prima necessità, quali l’olio, il burro, la pasta, la farina e il riso; lo stesso pane deve, per disposizione delle Prefetture, contenere rilevanti percentuali di crusca e farina di mais.

Nel corso di questo stesso anno, le città devono confrontarsi con altre drammatiche insufficienze nella gestione bellica delle retrovie.

La rete pubblica dei ricoveri antiaerei è carente, cosicché gli abitanti rimediano ricorrendo alle cantine ed alle fogne oppure edificando rifugi sotterranei a spese proprie.

 

 

I generi alimentari razionati (tra i quali è entrato anche il pane) soddisfano appena la metà del fabbisogno calorico individuale e, malgrado i podestà dispongano che parchi e giardini siano trasformati in “orti di guerra”, gli abitanti devono approvvigionarsi, quando possono, alla “borsa nera".
La mancanza di materie prime crea infine gravi problemi alle aziende: in particolare, il ferro è sottoposto a restrizioni e a requisizioni militari.