Le trasformazioni dell’Italia nella seconda metà degli anni Trenta
Nel 1936, si consuma un mutamento epocale nella storia italiana: l’industria soppianta l’agricoltura come settore in cui trova occupazione la maggioranza dei lavoratori. Evidentemente, a poco sono valsi i tentativi del regime di preservare il mondo rurale mediante le norme opposte all’inurbamento e la distribuzione di terre in proprietà nelle bonifiche dell’Agro pontino e nelle colonie. Al contrario, è il mondo delle città ad affermarsi sull’onda dell’industrializzazione, con un’industria che gode dei benefici originati dalle commesse militari ed un settore edile che è stato agevolato dai lavori pubblici attuati durante la Grande depressione. Nelle città trovano spazio lo sviluppo del terziario pubblico, articolato tra strutture pensionistiche, assistenziali e sanitarie, e la crescita della scolarità di base. E’ qui che si forma un nuovo ceto medio, composto di dirigenti d’impresa, quadri intermedi, impiegati e addetti al commercio, retribuito meglio dei lavoratori d’industria, orientato a rivestire un ruolo di consumatore e caratterizzato da un comportamento massificato. Alla definizione di questo agire uniforme contribuisce l’affermarsi dei mass media, che il regime considera uno strumento primario di controllo sociale. Il libro in edizione economica, la stampa a rotocalco, il cinema sonoro e la radio divengono oggetti d’intervento per l’Ufficio per la stampa e propaganda, l’Ente cinema e l’Eiar. E’ soprattutto la radio a divenire “la voce del regime”: benché gli apparecchi domestici non siano numerosissimi, il numero degli ascoltatori è moltiplicato, almeno nelle occasioni di rilievo, dal posizionamento di altoparlanti nelle vie e nelle piazze. |
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