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La ricostruzione della “Felice Cima”

Il durissimo rastrellamento del 2 luglio segnò profondamente la 17a brigata “Felice Cima”. I distaccamenti erano dispersi e i collegamenti saltati, basi e magazzini saccheggiati e incendiati; in tutti rimaneva poi l’impressione dell’assalto, l’angoscia, la paura e la rabbia impotente. Alcuni reagirono abbandonando la zona ed aggregandosi ad altre formazioni oppure espatriando in Francia; altri cercarono rifugio in pianura, tornando a casa per nascondersi. Anche i gruppi che rimasero in zona decisero comunque di sganciarsi provvisoriamente e mettersi al riparo più in alto: quelli di Mario Castagno e di Deo Tonani, per esempio, si ritirarono al “non si trova” e al “non si vede”, due anfratti naturali sul Rognoso.
Nella seconda metà di luglio, gradualmente, i garibaldini tornarono nella zona del colle del Lys. Per questo, dopo una riunione tra i comandanti dei vari gruppi (Mario Castagno, Deo Tonani, Carlo Ambrino, Massimo Ghi, Alessio Maffiodo) e Osvaldo Negarville, del Comando III Divisione Garibaldi, fu deciso di riorganizzare la formazione. Mentre nuovi distaccamenti si costituivano a Colle san Giovanni, Favella, Rubiana, Valdellatorre, il gruppo di Castagno si attestò al Castello di Mompellato e quello di Tonani prese posizione alle miande Concessa. Intanto il gruppo Intendenza, guidato da Pino Monfrino e Pierino Audano, agiva in pianura per procurare vettovagliamenti e armi, che poi venivano trasportati provvisoriamente nei magazzini del Mulino di Punta (Valdellatorre) e da qui a quelli di Favella e nella chiesetta sconsacrata del Mollar.
All’inizio di agosto, la “Felice Cima” era ricostituita e capace anche di assorbire il sempre maggiore numero di giovani che sceglievano la montagna; tra questi, un gruppo di allievi sottoufficiali dell’aeronautica di stanza a Fiano. Complessivamente la brigata comprendeva circa cinquecento effettivi, divisi in nove distaccamenti in montagna (Mulatero, Girotto, Mondiglio, Tolmino, Callet, Rossi-Ampelio, Zulian, Polizia e officina, Faleschini) più alcuni gruppi mobili nei centri di bassa valle. Faceva parte della 17a anche un reparto di sovietici, costituito da una quarantina di ucraini e georgiani fatti prigionieri sul fronte del Don e utilizzati dai tedeschi per presidiare il tronco ferroviario Rivoli-Avigliana, che a maggio aveva disertato e, dopo aver preso contatto con Alessio Maffiodo, si era aggregati alla “Felice Cima”.
Fondamentale in questa operazione di ricostruzione della Brigata più che in altre circostanze fu l’appoggio della popolazione civile, che collaborò offrendosi come guida, staffetta, vedetta, magazziniere, in sostanza sostituendosi a quelle strutture che erano state distrutte dal rastrellamento del 2 luglio. L’importanza di tale atteggiamento, che andava ben oltre la solita dimensione del soccorso e della solidarietà, fu chiaramente percepita dai garibaldini, che infatti decisero di risolvere il problema dell’approvvigionamento alimentare senza pesare più sulle già scarse risorse della zona, ma prelevando il necessario direttamente dai mulini, dagli ammassi o dal Monopolio di Stato, a Torino e in bassa valle.

A volte, poi, il bestiame appena requisito, e quindi ancora in carne, veniva scambiato con quello vecchio e sfruttato dei contadini, che s’impegnavano a compensare la differenza con frutta e verdura. Un intreccio di rapporti particolare, che permise ai partigiani combattenti di non perdere di vista l’obiettivo reale della loro lotta e ai civili di assorbire i valori della Resistenza e di assumere una prospettiva più evidentemente politica.
Intanto, in vista di una ripresa dell’attività offensiva, i vari distaccamenti furono dislocati nei punti chiave della valle, da Rubiana fino al colle del Lys e a Col san Giovanni; il gruppo di Castagno rimase a Mompellato, dove aveva sede anche il Comando di brigata, mentre quello di Tonani, costituito in prevalenza di cremonesi e che si era battezzato “Faleschini”, dal nome del più giovane dei caduti del 2 luglio, si spostò a Madonna della Bassa.