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La dittatura

 

Nel dicembre del 1924, quando il dimissionato capo dell’ufficio stampa di Mussolini rivela ad un giudice la complicità del primo ministro nell’omicidio di Giacomo Matteotti, la posizione del primo ministro sembra definitivamente compromessa.

Il 3 gennaio 1925, però, contro ogni attesa, Mussolini assume di fronte alla Camera dei deputati la responsabilità “storica e morale” del delitto: quest’affermazione dà via libera alla dittatura.

Nei giorni successivi, l’esecutivo colpisce a morte l’opposizione, censurandone i giornali, arrestandone 111 esponenti e chiudendone 60 sedi.

Tra il novembre e il dicembre del 1926, dopo il fallito attentato compiuto contro Mussolini dallo studente quindicenne Anteo Zamboni, la democrazia politica è affossata: i partiti e le associazioni antifasciste sono sciolti e messi fuori legge; l’antifascismo diventa un reato di cui rispondere davanti al Tribunale speciale per la difesa dello Stato e punibile con misure che vanno dal confino di polizia alla pena di morte; il primo ministro, nominabile e revocabile solo dal re, ottiene poteri straordinari, tra cui quelli di nominare i ministri ed emanare norme giuridiche senza l’approvazione delle Camere, con una profonda modifica dello Statuto.

 

La fine della separazione tra i poteri e dell’autonomia della società civile dallo Stato, proprie del modello liberale, apre la strada ad un modello nuovo, che identifica lo Stato con il partito unico, fa coincidere la sovranità con il potere esecutivo e regolamenta i rapporti sociali con il terrore.