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L'esordio del Fascismo

Nel marzo del 1919, Benito Mussolini, un ex dirigente rivoluzionario dello Psi, ha fondato a Milano il movimento dei Fasci italiani di combattimento, caratterizzato da un acceso nazionalismo oltre che da un’esaltazione militare dell’esperienza della Grande guerra, da una decisa ostilità nei confronti sia del socialismo sia del liberalismo -denunciato come incapace di mantenere l’ordine nel Paese e di difenderne l’”onore” alle trattative di pace-, e da un programma di politica interna che mette in discussione molti aspetti fondamentali dello Stato, dalla forma istituzionale al meccanismo proporzionale che regola le elezioni.

La chiave di volta del disegno mussoliniano è però l’uso della violenza su larga scala nei confronti di coloro che conducono le occupazioni delle terre e delle fabbriche: contro le sedi ed i militanti socialisti ed anarchici, le “squadre d’azione”, formate da giovani reduci, disoccupati e delinquenti comuni, si rendono protagoniste di numerose aggressioni, sempre tollerate dalle forze dell’ordine.

 

Se nel loro primo anno di vita, i Fasci non raccolgono che pochissimi iscritti e non riscuotono che le simpatie dei grandi proprietari terrieri e dei piccoli e medi borghesi, nei mesi seguenti iniziano a suscitare l’attenzione interessata degli ambienti monarchici, militari ed imprenditoriali.

D’altro canto, molti liberali, pur non condividendo l’ideologia dei Fasci ed il metodo dello squadrismo, ne rilevano l’oggettiva utilità al fine di liquidare definitivamente l’offensiva proletaria e socialista, e s’illudono di poter neutralizzare il movimento mussoliniano una volta raggiunto quest’obiettivo.