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Il rastrellamento del 2 luglio

La reazione nazista fu immediata: già il 27 giugno Trana, Mattie, Bussoleno e San Giorio furono sottoposte a violenti rastrellamenti; e le incursioni continuarono anche nei giorni successivi a Susa, Meana, Chiomonte, ottenendo peraltro l’effetto, certo non voluto, di spingere molti altri giovani, che non potevano più vivere con sicurezza nelle loro case, ad unirsi alle formazioni partigiane. Lo stesso effetto ottenne il bando di arruolamento della Rsi. Tra coloro che decisero di sfuggire all’arruolamento nelle forze armate italo-tedesche e di “imbandarsi” tra le formazioni valsusine un certo numero di giovani cremonesi, 47 dei quali si aggregarono alla 17a. Raggiunto il vallone di Rubiana convinti di trovare “tutto il necessario e in abbondanza”, si trovarono invece di fronte alla dura realtà della vita partigiana e alle imprecazioni di Alessio Maffiodo contro “tanti giovani sprovveduti e senza nulla”; accolti comunque nella Brigata, i cremonesi costituirono un distaccamento guidato da Amedeo Tonani. Nello stesso periodo, il comando tedesco diede inizio a un’offensiva articolata contro il movimento partigiano, che aveva anche lo scopo di riprendere il controllo della valle di Susa, la cui importanza nel sistema di comunicazioni tedesco era cresciuta dopo lo sbarco anglo-americano in Normandia (6 giugno), e di isolare le valli di Lanzo, dove era iniziata l’esperienza della “zona libera” (30 giugno).

L’attacco contro la “Felice Cima” scattò alle prime ore del mattino del 2 luglio. Muovendo contemporaneamente da Rubiana e dalla valle di Viù, un migliaio di tedeschi della Waffen–Grenadier–Brigade der Ss e di fascisti del 29° battaglione M con autoblindo e motociclette armate di mitragliatrici risalirono rapidamente verso il col del Lys, tentando di sorprendere i garibaldini. Alle 7 venne dato il segnale d’allarme, ma i distaccamenti situati in basso, tra Rubiana, Rocca Sella e Favella, non riuscirono a contenere l’attacco e dovettero ripiegare per evitare di essere accerchiati. Anche i gruppi più a monte furono costretti alla ritirata verso il Rognoso e il Civrari o verso Niquidetto e Col san Giovanni; intanto, arrivati al colle del Lys i nazifascisti incendiarono alcune baite e l’autorimessa dell’Anas, che i partigiani avevano trasformato in una officina meccanica.La maggior parte dei partigiani riuscì a sottrarsi alla cattura, disperdendosi e trovando la salvezza nei boschi, negli anfratti della montagna, nella nebbia del Civrari, ma non tutti. Sei garibaldini furono uccisi in combattimento e ventisei, alcuni dei quali appena aggregati alla brigata e che ancora vestivano abiti borghesi e scarpe “da città”, furono catturati, seviziati e trucidati.Solo due giorni dopo, a rastrellamento concluso, alcuni partigiani, aiutanti dai contadini, dai pastori e da don Evasio Lavagno, parroco di Mompellato, poterono ricomporre le salme e seppellirle in una fossa comune, vicino alla borgata Airetta (lungo la strada che congiunge il colle del Lys con Niquidetto)

Gli attacchi alla 42a Brigata “Walter Fontan” (8 luglio), alla “Monte Assietta” (17 luglio e 2 agosto) e alla IV Divisione Gl “Stellina” (26 agosto) furono invece sostanzialmente fallimentari, fatto che spinse tedeschi e fascisti a sfogare la propria frustrazione contro la popolazione civile e contro le abitazioni o le baite, nel tentativo di fare “terra bruciata” intorno al movimento partigiano, consapevoli che, dietro alle formazioni combattenti, c’era una “seconda linea” che le sosteneva, informandole, nutrendole, vestendole, curandole e nascondendole nei fienili o sotto il pavimento.