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Il fascismo e l'industria

Tra il 1925 e il 1926, il regime elimina ogni libertà nei luoghi di lavoro, sopprimendo il diritto di sciopero e mettendo fuorilegge tutti i sindacati, tranne quello fascista. L’indirizzo politico esplicitamente favorevole agli imprenditori è evidenziato sia dalla scarsa forza contrattuale attribuita allo stesso sindacato fascista, che rende possibili ulteriori incrementi della produttività, sia dalla compressione dei salari, realizzata mediante appositi provvedimenti di legge, sia dal rafforzamento del ruolo dello Stato come maggior committente e finanziatore dei grandi gruppi industriali.

Queste condizioni favorevoli agevolano la crescita delle imprese maggiori, come manifesta la vicenda della Fiat.

Nel 1923, la holding di Giovanni Agnelli inaugura lo stabilimento del Lingotto, riconverte la fabbrica delle origini, acquista l’impianto torinese dell’Ansaldo e quello bresciano delle Officine meccaniche (OM); nel 1926, compra, ancora dall’Ansaldo, la Società italiana aeronautica e incorpora l’azienda automobilistica Spa; nel 1927, crea l’Istituto finanziario industriale (Ifi) per coordinare gli investimenti.

 

 

Questa campagna di acquisizioni, che amplia una gamma produttiva ormai articolata tra automobili, autobus, autocarri, trattori, materiale ferroviario, motori marini e per aerei, macchine utensili, veicoli blindati, armi ed acciaio, è accompagnata da un’intensa ristrutturazione: nel 1927, sono licenziati ottomila dipendenti; nel 1929, è introdotto il “metodo Bedaux” per il calcolo scientifico della produttività, con criteri che non tengono però conto dell’accumulo di fatica durante la giornata lavorativa.