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Gli scioperi del marzo 1944

Nell’intento di ampliare il fronte di lotta contro i nazifascisti, saldando l’iniziativa dei gruppi armati con quella delle masse popolari, il Clnai prepara lo sciopero generale. Al consolidato obiettivo di ottenere migliori condizioni economiche per gli operai, s’aggiungono il sabotaggio della produzione bellica e la difesa degli impianti contro le minacce tedesche di smantellamento.

Dal I° all’8 marzo, l’agitazione coinvolge centinaia di migliaia di lavoratori del triangolo industriale, ma anche dell’Emilia, della Toscana e del Veneto, che identificano come controparte sia il tradizionale antagonista di classe, cioè gli imprenditori, sia il nemico occupante. Contemporaneamente, i Gap compiono attentati nelle città, mentre le formazioni effettuano incursioni contro i centri minori e le linee di comunicazione.

Contro quest’offensiva congiunta, i tedeschi rispondono con una repressione che colpisce migliaia di scioperanti, concretizzandosi in licenziamenti e deportazioni al lavoro coatto in Germania. Per dare idea dello stato di difficoltà creato dallo sciopero tra gli occupanti, si pensi che, dopo l’inizio dell’agitazione, Hitler ordina che sia deportato addirittura il 20 per cento della forza lavoro coinvolta: anche se il risultato effettivo sarà meno rilevante, a guerra finita il totale dei deportati per ragioni politiche raggiungerà le 46.000 unità circa.

Proprio alla luce dell’avvenuta saldatura tra lo scontro militare e quello sociale, all’indomani dello sciopero generale il Clnai dà l’indicazione di formare, in tutti gli stabilimenti in cui ve ne è la possibilità, le Squadre d’azione patriottica (Sap), cui affida il compito di organizzare la lotta clandestina contro i nazifascisti nei luoghi di lavoro e, in generale, nei luoghi dell’aggregazione sociale.