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Paolo, dopo
essersi laureato prima in agraria e poi in
veterinaria, si era dedicato con successo
alla ricerca e all'insegnamento. Nel 1931,
il giovane - che era stato allontanato, dopo
una perquisizione della polizia nella casa
paterna, dal corso allievi ufficiali - vinta
una borsa di studio, si era trasferito a
Milano dove si era, appunto, laureato in
agraria, aveva conseguito la docenza e si
era anche laureato in veterinaria. Nel 1940
il giovane professore passa a Torino,
all'Istituto di Zooctecnia, ed è nel
capoluogo piemontese che conosce Duccio
Galiberti e si avvicina al Partito d'Azione.
Dopo l'armistizio e dopo che avrà
contribuito alla costituzione delle prime
formazioni partigiane, rappresenterà proprio
il PdA nel primo Comando militare regionale
piemontese del CLN. Purtroppo,
l'attività di organizzazione e di
orientamento del giovane docente, che nella
Resistenza è conosciuto come "Verdi", dura
pochi mesi. Anch'egli, infatti, finisce
nelle mani della polizia fascista, quando
questa, per una delazione, fa irruzione
nella sacrestia del Duomo di Torino e vi
sorprende quasi al completo il Comando
militare. Di fronte al Tribunale speciale
che lo condannerà a morte con altri sette
compagni di lotta, il professore non perde
mai la calma e la serenità.
È proprio alla
figlioletta Gianna che Paolo Braccini, prima
di essere ucciso, indirizza una delle sue
ultime lettere. Le scrive tra l'altro:
"figlia mia adorata. Sarò fucilato all'alba
per un ideale, per una fede che tu, mia
figlia, un giorno capirai appieno. Vai
sempre a fronte alta per la morte di tuo
padre". Dopo l'uccisione di Braccini, la
Divisione Alpina "GL" operante in Val Granda
prese il suo nome.
All'eroico
professore è stata concessa la massima
ricompensa al valore con questa motivazione:
"Membro del
Comitato militare del C.L.N. del Piemonte,
dopo aver concorso alla costituzione dei
nuclei partigiani delle valli, portava largo
e decisivo contributo all'assetto e al
potenziamento delle formazioni piemontesi.
Sottoposto a giudizio e condannato a morte,
consacrava con l'olocausto della propria
vita l'ardente fiamma che l'aveva sostenuto
durante il periodo della lotta clandestina.
II piombo nemico troncava la sua nobile
esistenza. Cadeva suggellando, con l'estrema
invocazione all'Italia, la sua fede nei
destini della Patria.
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